Scuola e Dintorni - CRISTINA COSTARELLI ANP

Cristina Costarelli
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DAD e alunni con Bisogni Educativi Speciali
Il delicato argomento dell’accoglienza in presenza degli alunni con BES, in pochi giorni di diffusione massiccia di zone rosse in Italia, sta venendo fuori in tutta la sua complessità. È passata purtroppo l’idea che la presenza degli alunni con BES sia a richiesta delle famiglie, quando invece le disposizioni normative impostano il discorso in altra forma: ad esse bisogna fare riferimento per un approccio lucido e costruttivo.
La Nota MI 662 del 12 marzo 2021, di chiarimento rispetto al DPCM del 2 marzo, dichiara quanto segue: “E’ opportuno chiarire che le istituzioni scolastiche sono tenute ad un’attenta valutazione dei singoli casi, contemperando le esigenze formative dell’alunno declinate nello specifico percorso educativo individualizzato o percorso didattico personalizzato…con le fondamentali misure di sicurezza richieste dal citato dPCM a tutela del diritto alla salute. Infatti, la condizione dell’alunno con bisogni educativi speciali non comporta come automatismo la necessità di una didattica in presenza, potendo talora essere del tutto compatibile con forme di didattica digitale integrata salvo diverse esplicite disposizioni contenute nei già adottati progetti inclusivi”. È chiaro da questo passaggio come la presenza a scuola di alunni BES non sia una questione da gestire on demand. Soggetto di questa decisione sono le istituzioni scolastiche, che, coinvolgendo i propri organi collegiali (in particolare il Gruppo di Lavoro per l’Inclusione, con il contributo di CDC e Collegio Docenti se occorre) valutano quali sono gli alunni che hanno necessità inderogabile di proseguire la didattica in presenza sulla base dei PEI e delle certificazioni a supporto.
A questa prima indicazione segue il passaggio inclusivo per cui “le stesse istituzioni scolastiche non dovranno limitarsi a consentire la frequenza solo agli alunni e agli studenti in parola, ma al fine di rendere effettivo il principio di inclusione valuteranno di coinvolgere nelle attività in presenza anche altri alunni appartenenti alla stessa sezione o gruppo classe – secondo metodi e strumenti autonomamente stabiliti e che ne consentano la completa rotazione in un tempo definito – con i quali gli studenti BES possano continuare a sperimentare l’adeguata relazione nel gruppo dei pari, in costante rapporto educativo con il personale docente e non docente presente a scuola.” Per cui non è previsto il rapporto 1 a 1 tra alunno disabile e docente di sostegno, ma devono essere organizzati piccoli gruppi di alunni, con la presenza anche di un docente curricolare. Dal punto di vista inclusivo questo è certamente corretto, ma apre questioni organizzative per nulla semplici: da un lato gli altri alunni non possono essere obbligati ad essere a scuola in presenza, da un altro lato si crea la situazione per cui il docente curricolare sta a scuola con un gruppo di alunni, mentre gli altri alunni della stessa classe seguono da casa. Inoltre c’è un problema di orario: in DAD/DDI si prevedono in genere 15/20 ore settimanali in modalità sincrona (e una parte in modalità asincrona, anche nel rispetto della normativa vigente circa l'utilizzo di videoterminali) e si crea quindi un’ingestibile disallineamento con l’orario di chi è in presenza (che può essere più ampio: è proprio  impossibile, secondo il Piano ministeriale per la DDI, una equivalenza di ore in presenza e di ore a distanza, a meno che non si vogliano immaginare 40 ore di tempo pieno davanti ad uno schermo!!) L’organizzazione di un impianto con questi presupposti richiede alle scuole alcuni giorni di rimodulazione organizzativa, soprattutto pensando ad istituti che hanno fino a centinaia di alunni con disabilità.
In conclusione, tutto il personale della scuola è convinto che il processo di inclusione degli alunni con BES debba continuare ad essere prioritario, soprattutto in un momento estremamente delicato come quello che stiamo vivendo e che la scuola debba fare di tutto per garantire tale diritto. Tuttavia è del tutto evidente che questo diritto incontra delle difficoltà concrete e dei limiti che si devono gestire con un approccio collaborativo e costruttivo, anche nelle relazioni scuola-famiglia.
Con le mascherine
 
Dopo questi mesi, anzi, un anno ormai, di emergenza sanitaria, tutta l’antropologia relazionale sottesa all’insegnamento appare modificata, non solo per la lunga esperienza della didattica a distanza. Questa continua e radicale modifica ha avuto effetti nel nostro lessico quotidiano, nelle disposizioni personali e collettive, nelle attese, nei timori e nella creatività.
La nostalgia dello stare in classe si è concretizzata negli sguardi, interrogativi e reciproci tra studenti e docenti, cercati negli schermi nel lungo intermezzo della DAD (che per alcune scuole di certo ancora non si è concluso). Lo stare in classe anche quando è possibile al 100% delle classi di una scuola, cioè negli istituti del primo ciclo d’istruzione, è segnata dalla presenza irrinunciabile della mascherina.
A volte ci chiediamo, in un momento di pausa o di sospensione dei normali pensieri legati alla quotidianità, come ci siamo abituati a questo oggetto. La maschera ci protegge, preserva noi e gli altri dal pericolo di contrarre l’infezione così pericolosa, ci nasconde buona parte del volto.
Il volto per la filosofia del XX. secolo è stato l’epifania dell’alterità, un’alterità sempre nuova e non riducibile al medesimo, il mostrarsi del diverso, la possibilità dell’incontro. Il volto si riduce in questi mesi allo sguardo, che traspare sopra i contorni delle mascherine.
La scuola attraverso gli occhi è una scuola che purtroppo si trova nelle condizioni di dover lasciare da parte il volto e la mimica facciale ma ci fa concentrare su questo spazio in cui le emozioni ristagnano, fioriscono, danzano, vogliono comunque manifestarsi.
Con singolare ironia non cercata è noto che persona significa maschera del teatro classico, e questi volti mascherati, accerchiati, costretti nella maschera ci dicono l’eccedenza della persona proprio in quello che la contiene.
Lontananza e vicinanza sono i due poli di una diade che ha influenzato e continuerà a influenzare l’esperienza scuola, rendendo contigue la paura di perdere e la gioia di fruire un darsi che non può più essere dato per scontato.
Ripartire dal volto, un volto che eccede la maschera e mostra l’essere persona che non vuole lasciarsi costringere oltre il necessario ma mostra che la relazionalità essenziale al volto non potrà essere soppressa. Ripartire quindi dallo sguardo e dal dialogo, così fondamentali nel consentire lo scambio di parole e lo scambio preverbale che fornisce quel supporto emotivo a ciò che si vuole significare e che viene perso negli scambi scritti fintamente dialogici che affannano le menti e distolgono dall’autenticità
Questo riteniamo essere il compito di una scuola che si vuole comunità di persone, comunità dialogante, e per questo educante, comunità che accetta ma non si lascia contenere alla sua condizione di essere popolata di persone con le mascherine.
Gli sguardi rimandano ai volti, specchio dell’altro e dell’incontro quotidiano in tutta la sua ricchezza emozionale, continua meraviglia dello scoprirsi e dello scoprire insieme.
Giovanni Cogliandro – Cristina Costarelli
PROLUNGAMENTO del CALENDARIO SCOLASTICO: RIFLESSIONI SPARSE
 
L’ipotesi di prosecuzione delle lezioni dopo l’8 giugno ha scaldato gli animi nel mondo della scuola in questi ultimi giorni. Si tratta di una questione complessa che va analizzata partendo dalle situazioni concrete delle scuole: di seguito alcuni spunti per ragionare.
Per pensare di stare a scuola fino alla fine di giugno bisogna sicuramente prevedere una risposta a queste difficoltà.
-          Ricalendarizzare gli esami di primo ciclo e maturità: i docenti sono gli stessi nelle commissioni e per le classi.
-          Provvedere alla climatizzazione delle aule: già a maggio, nella maggior parte degli edifici scolastici, le temperature iniziano a superare i 30 gradi.
-          Stanziare fondi per i docenti che possono dare disponibilità su base volontaria, visto che alla data dell’8 giugno avranno corrisposto agli obblighi contrattuali.
-          Prevedere lo svolgimento di tali attività in forma laboratoriale e innovativa affinché abbiano senso didattico.
-          Bisogna anche chiarire la finalità di queste attività: si tratta di recupero di carenze? Di potenziamento? Attività obbligatorie per tutti gli studenti? Perché se si tratta di recupero, da decenni si organizzano corsi nel periodo estivo, quindi da questo punto di vista nulla di nuovo.
-          Si possono pensare come corsi a distanza, ma avrebbe senso recuperare a distanza le difficoltà createsi per la maggior parte proprio in DAD?
Deve essere chiaro che affrontare questo argomento non significa dire, o solo pensare, che docenti e studenti abbiano lavorato di meno in questo difficile anno scolastico: hanno tutti lavorato di più e nelle condizioni peggiori che si siano mai viste nella storia post-bellica. Non si è perso tempo: il tempo è stato utilizzato in modo diverso. Molto tempo è stato speso per gli imprevisti legati all’emergenza sanitaria, per le connettività precarie, per passare continuamente dalla distanza alla presenza e viceversa. Si è lavorato meno sui contenuti, i “programmi” non saranno tutti completati; ma si è lavorato su nuovi aspetti di competenza, sulla gestione di fragilità emotive e relazionali, sulla rimodulazione della vita dei giovani in una dimensione nuova e sconosciuta per tutti.
Il fatto che le programmazioni non vengano completate ha delle ripercussioni, indubbiamente: in misura maggiore nelle classi d’esame, in particolare per gli studenti che si proiettano verso l’università e il mondo del lavoro. Ma è importante anche chiedersi se prolungare la scuola di 20 giorni a giugno sia davvero la soluzione al problema.
Alla luce di questo quadro nessuna pretesa di dare risposte, giusto una ipotesi: che sia necessario, per questi anni scolastici del Covid, ragionare secondo le parole di E. Morin di “testa ben fatta”, invece che di “testa ben piena”?  Difficile immaginare che in un periodo in cui il mondo intero ha visto uno sconvolgimento generale, la scuola possa garantire gli stessi esiti di degli anni precedenti. Forse occorre rivedere anche gli obiettivi da raggiungere, fare scelte e concentrarsi sui nuclei e le competenze fondanti, oltre che ripensare la didattica, come si è visto e si vede ancora necessario.
ORIENTAMENTO TRA PRIMO E SECONDO CICLO: riflessioni sulle ISCRIZIONI per l’A.S. 2021-2022
I dati delle iscrizioni per il 2021-2022 segnano un’ulteriore incremento della scelta per i licei che raccolgono più del 50% delle preferenze. Un dato che nel Lazio raggiunge il 72,1% e non è una buona notizia. Qualche esempio concreto su Roma:
-    In un Istituto Comprensivo della periferia di Roma si è notato questo, come dato relativo alle scelte per le scuole superiori:
1. aumento delle iscrizioni ai licei;
2. iscrizione ai licei anche in divergenza con il consiglio orientativo fornito dalla scuola;
3. preferenza per gli istituti di altri territori rispetto a quello di residenza, pur offrendo gli istituti di zona i medesimi indirizzi, circostanza legata all’entrata in funzione la Metro C che facilita gli spostamenti verso zone più centrali.
-          Per quanto riguarda alcuni Istituti tecnici e professionali dell’area est di Roma, in alcuni casi si è mantenuto il dato di iscritti dello scorso anno, ma in altri si è notata una flessione degli indirizzi tecnici (unico miglioramento per l’indirizzo Economico-sportivo) del 30% e degli indirizzi professionali fino addirittura al 50% in alcuni casi.
-          Rispetto ai licei si è osservato il trend opposto, con mantenimento assicurato per tutti gli istituti e rilevanti incrementi per alcuni licei classici e scientifici.
Come si spiega tutto ciò? Le motivazioni sono diverse, con conseguenti difficoltà per gli studenti nell’immediato del percorso scolastico e per il loro futuro:
-          Le decisioni sono spesso condizionate dal presupposto insuperato che solo i licei siano “scuole buone” e formative, secondo un pregiudizio di stampo gentiliano e classicistico per cui le discipline tecnico-pratiche siano di rango inferiore rispetto a quelle “culturali e teoriche”.
-          Il lavoro di orientamento tende più alla conoscenza degli indirizzi e delle scuole che non ad una riflessione vocazionale sulle reali attitudini dei ragazzi; c’è l’ansia di scegliere la scuola più che di capire quale sia il percorso migliore per ciascuno di loro, anche se su questo aspetto l’attenzione va migliorando.
-          I consigli orientativi delle “scuole medie” restano spesso inascoltati da parte delle famiglie.
-          È ancora carente una diffusa e approfondita conoscenza dei percorsi tecnici e professionali, con i relativi sbocchi lavorativi.
Il tutto quest’anno è stato aggravato dalla pandemia che, costringendo agli open day a distanza e a ai tour virtuali, ha reso più difficile la fase di avvicinamento e conoscenza delle scuole superiori, oltre a tempi di iscrizione forse troppo anticipati (chiusura il 25 gennaio, mentre pochi anni fa si arrivava a tutto febbraio).
Purtroppo una scelta sbagliata, affrettata e non ponderata apre le porte alla frustrazione dei primi anni di scuola superiore, alla dispersione scolastica e al conseguente aumento di giovani Neet – che non studiano né si formano e non hanno un’occupazione. A Roma stessa e nel Lazio ci sono aziende che cercano tecnici e professionisti appena usciti da scuola per introdurli nel mondo del lavoro, ma l’offerta di giovani preparati non riesce ad accontentare la domanda; di contro abbiamo università popolate di un certo numero di studenti che difficilmente arriveranno alla laurea.
L’OCCUPAZIONE AI TEMPI DEL COVID
Ai nostri ragazzi manifestanti, in occupazione o con intenzione di farlo, è necessario ricordare alcune riflessioni
- la prima: non esiste una sicurezza assoluta in nessun campo ed in nessun momento dell’attività umana. La vita stessa è una malattia mortale, visto il suo esito obbligato. Esistono solo sicurezze relative, fatte di misure di prevenzione, di prudenza nei comportamenti, di prevalere della ragionevolezza sugli impulsi. Per esempio, è molto più pericoloso un sabato sera in discoteca, con il tragico corollario di incidenti sulla via di casa, che una settimana a scuola con mascherine, gel igienizzanti, finestre aperte e distanziamento rigoroso. E quindi chiedere la sicurezza di non ammalarsi a scuola è come chiedere di non soffrire per amore, di non aver mai un incidente stradale, di non misurarsi mai con l’insuccesso: uno stato d’animo, comprensibile, con cui si può solidarizzare sul piano emotivo, ma non una base di trattativa;
- la seconda, assai più importante: forme di protesta come le improvvisate assemblee, le autogestioni e, ancor peggio, le occupazioni sono il modo migliore per correre quei rischi contro cui, a parole, si chiede di essere protetti. Il virus è indifferente alle motivazioni delle persone che colpisce: è solo sensibile alle distanze (più sono ridotte, meglio può “saltare” dall’uno all’altro); ai comportamenti (non portare la mascherina o portarla abbassata nella foga delle discussioni); alle imprudenze (promiscuità nell’uso di oggetti – per esempio i megafoni così di moda in queste circostanze). Rivendicare il diritto alla sicurezza assumendo comportamenti che implicitamente la negano non è un diritto soggettivo: è un atto di inconsapevolezza che, in altri momenti, può far sorridere gli adulti. Ma, in questo momento, non può e non deve essere sottovalutato.
Le occupazioni rischiano di diventare altrettanti focolai di contagio: focolai che, purtroppo, si estenderanno ai loro compagni quando la scuola riprenderà, e poi a ritroso alle famiglie dei loro protagonisti, ai loro vicini, a quelli che prenderanno l’autobus con loro. Da marzo 2020 abbiamo accettato che perfino libertà fondamentali, iscritte nella Costituzione – come quella di libero movimento – venissero compresse: il tutto per accelerare la fine dell’incubo e l’uscita dal tunnel. Adesso che, forse, qualche barlume di miglioramento si intravede, non possiamo regalarlo all’incoscienza ed alla irresponsabilità di pochi. E allora, chi ha il dovere e il potere per imporre il rispetto delle regole lo faccia senza ulteriori indugi. Altrimenti – oltre al rischio di una pesante ricaduta nella diffusione del contagio – passerà un messaggio dei più diseducativi e devastanti per una comunità: che lo Stato può chiedere sacrifici anche estremi e pesanti ai suoi cittadini finché questi lo rispettano; ma che, quando qualcuno non ne rispetta la leggi appellandosi ad una presunta extraterritorialità, lo Stato sta a guardare. Ci sarà tempo per giocare alle occupazioni, quando tutto questo sarà finito. E saremo anche disposti a tollerarlo allora, come abbiamo fatto in passato, perché la crescita passa anche attraverso gli errori. Ma adesso, no. A nessuno può essere consentito di operare per distruggere, neppure  nvolontariamente, la vita degli altri e il tessuto sociale di cui fa parte.
UN PROBLEMA IRRISOLTO E ATTUALE:
organici ancora incompleti a Roma, a fine gennaio 2021
Alla fine del primo quadrimestre di un anno scolastico difficile, inusuale e tragico per alcuni aspetti, la scuola fatica ancora a decollare con un organico completo. Particolarmente critica la situazione degli Istituti comprensivi dove le convocazioni fatte dall’ATP proseguono a rilento e, spesso, sono deserte. Questo caos si ripercuote  egativamente sulle scuole che aspettano dal 14 settembre 2020 di coprire i posti vacanti con supplenze temporanee, difficili anche da reperire. Moltissime scuole hanno esaurito le proprie graduatorie, hanno attinto alle graduatorie di altre scuole e hanno dovuto ricorrere alle domande di messa a disposizione. Una situazione che si ripercuote negativamente sulla continuità educativo-didattica, laddove mal si coniuga il diritto all’istruzione con le norme e i vincoli burocratici del sistema di reclutamento dei supplenti. A ciò si aggiungono gli errori segnalati da diversi docenti supplenti di cattedre mancanti nella lista proposta dall’Ufficio scolastico territoriale costringendo i dirigenti a correzioni reiterate finalizzate a correggere dati errati e i docenti supplenti a raccogliere dati ed informazioni dalle scuole. I dirigenti scolastici sono gravati dal compito di dover convocare quotidianamente decine di aspiranti supplenti con contratti temporanei di 10 giorni. Queste convocazioni vanno spesso deserte e le classi da coprire rimangono un nervo scoperto aggravato dalla situazione emergenziale in atto. In riferimento alla situazione dei docenti di sostegno la situazione è ancor più grave alla luce dell’esiguo numero di docenti specialisti e dal fatto che, anche in questo caso, molti posti sono a tutt’oggi scoperti. Tutto questo quadro già di per sé preoccupante è aggravato dalle assenze quotidiane e dalle malattie dovute anche al Covid, che fanno aumentare il numero dei docenti da sostituire ogni giorno. Intanto la prima parte dell’anno scolastico volge al termine, pieno di incertezze che si aggiungono alle difficoltà ben note, dovute all’emergenza pandemica in atto.
Il team di Anp Lazio
"La scuola riflette insieme ai giovani - terzo incontro" - 25 Giugno 2020

Il 25 giugno Anp Lazio ha organizzato il terzo momento del percorso iniziato a fine maggio sul tema “La scuola riflette con i giovani”. Protagonista del webinar è stata Gianna Fregonara, caporedattore del Corriere della Sera, che ha suggerito alcuni spunti di riflessione, in uno scambio interessante e produttivo, con i diversi partecipanti: studenti, docenti, dirigenti scolastici, genitori e rappresentanti di associazioni educative.
La giornalista ha aperto l’incontro evidenziando come in questi mesi di lockdown abbiamo raggiunto la consapevolezza dell’importanza della scuola, proprio nel momento in cui è venuta a mancare la sua presenza materiale. Tuttavia in questo periodo di chiusura e distanziamento si sono evidenziate diverse criticità già esistenti nel sistema scolastico, quali: “L’impianto conservativo ancora troppo legato alla tradizione; la carenza di investimenti pubblici; la inadeguata considerazione sociale e professionale ad essa riconosciuta dalla pubblica opinione”. Dalla discussione è emerso, ad esempio, come si parli spesso delle disfunzioni della scuola ma molto meno delle sue buone pratiche. E’ urgente, perciò, aprire un importante dibattito su tutti quei temi che vanno oltre la Didattica a distanza (DAD) e l’avvio del prossimo anno scolastico.
La DAD ha evidenziato numerose difficoltà ma ha offerto anche diverse opportunità all’intera comunità scolastica. Alle complessità oggettive di questa diversa tipologia d’insegnamento si sono poi aggiunti ulteriori problemi tra cui: raggiungere le fasce più deboli anche se in tal senso diversi sono stati gli sforzi economici fatti dal Mi; l’impossibilità di realizzare la didattica laboratoriale; l’organizzazione nelle scuole e le diverse competenze digitali tra i docenti. Le scuole hanno comunque potuto proiettarsi verso il digitale e l’e-learning, i docenti si sono impegnati nella formazione, gli studenti hanno potuto sviluppare nuove competenze e soft-skills. Dalla consapevolezza che la didattica a distanza non potrà sostituire quella in presenza, ne segue che d’ora in poi rimarranno complementari e integrative l’una all’altra.
Le riflessioni scaturite dall’emergenza sanitaria COVID-19 e la necessità di pensare al futuro di una nuova scuola, si possono così sintetizzare:
  • la scuola non può vivere nell’isolamento (come invece sta succedendo in questo periodo di emergenza sanitaria) ma deve essere inserita all’interno di una rete sociale, territoriale, culturale e istituzionale (chiamando in causa gli enti locali per tutto quanto riguarda l’edilizia scolastica) che sia realmente proattiva e propositiva;
  • perla costruzione di una compiuta comunità scolastica che veda la partecipazione, a seconda dei diversi ruoli e competenze, del personale della scuola, degli studenti e dei genitori, è importante condividere un nuovo patto di corresponsabilità verso un fine comune;
  • è opportuno ripensare l’autonomia delle scuole che non possa essere richiamata solo nei momenti di necessità, ma deve avere profili certi all’interno di un quadro normativo che ne disegna limiti e spazi d’azione;
  • bisogna ragionare sugli ordinamenti e sui curricoli, in particolare su quelli dell’istruzione professionale. Spesso le indicazioni nazionali e le linee guida sono testi complessi che vanno declinati e rivisitati per una loro applicazione reale rispetto alle esigenze formative degli studenti;
  • è necessario riflettere sulla formazione dei dirigenti scolastici e dei docenti per l’individuazione chiara di un livello di middle management in ogni scuola;
  • è fondamentale definire quale tipo di formazione/educazione/istruzione vada assicurata per l’ingresso dei giovani cittadini nella società e nel mondo del lavoro.
Questi sono gli argomenti su cui nel prossimo anno scolastico continueremo a confrontarci, nella convinzione che dopo l’esperienza di questi mesi nulla potrà o dovrà tornare come prima. La sfida sarà sprigionare le migliori energie per superare tutte quelle criticità emerse da questa crisi prodotta dal CoronaVirus.
CRISTINA COSTARELLI
info@cristinacostarelli.it
cristina.costarelli.anp@gmail.com

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